Alla scoperta degli antichi canti di Messina

Nell’aula Vincenzo Palumbo del Palacultura venerdì 26 gennaio è stata presentata la raccolta dal titolo Canti popolari del messinese (Pungitopo editore) curato da Lucio Falcone, un evento di grande spessore culturale, al quale non poteva di certo mancare l’IX Istituto Gravitelli-Paino da sempre promotore di percorsi didattici di Etnomusicologia. Essi sono svolti dalla Professoressa Grazia Magazzù che ha guidato i ragazzi alla scoperta delle modalità di canto popolare della città e della sua provincia e si sono conclusi con un convegno di alto profilo, al quale ha presenziato il Professore Mauro Geraci, docente di Antropologia culturale dell’ateneo peloritano. Attualmente, la professoressa Magazzù è inoltre impegnata in un interessante progetto della SIAE che si concluderà con la composizione di un’opera teatrale sul sentiero tracciato dalla Cavalleria Rusticana di Mascagni. All’incontro, promosso dalla biblioteca comunale e dall’Assessorato alla cultura, ha partecipato una rappresentanza degli allievi dell’indirizzo musicale della scuola, accompagnati dalla Professoressa Zingarelli in qualità di referente della biblioteca scolastica, che conserva preziosi testi di Etnomusicologia curati da un ex insegnante di musica dell’istituto di acclarata fama in questo settore, l’Esimio Musicologo Professore Demetrio Chiatto, presente anche lui al dibattito. Tale raccolta, secondo l’Assessore alla cultura Vincenzo Caruso, ha il merito di portare alla luce il lavoro certosino svolto da Tommaso Cannizzaro che ha raccolto dalla viva voce dei suoi abitanti le filastrocche, le poesie e i canti appartenenti alla provincia di Messina attraversando a partire dal 1870 le campagne di Roccalumera, Fiumedinisi, Santa Teresa e Castanea. Questi Canti rimangono inediti per 153 anni, nonostante una accorata richiesta di Cannizzaro alla amministrazione cittadina di pubblicarli, che rimase inascoltata nel 1893. Ha preso poi la parola la dottoranda in Filologia siciliana Maria Pirrone. La studiosa ha elogiato l’impegno di Nino Falcone di dattilografare questi canti che abbracciando la filologia, il folclore e la storia della nostra isola costituiscono un monumento della poesia popolare siciliana. Essi hanno contribuito a conservare quell’inestimabile tesoro costituto dal dialetto, dal quale è poi nata la lingua italiana grazie alla scuola poetica siciliana, citata anche da Dante nel suo De vulgari Eloquentia. Lucio Falcone ha poi illustrato la composizione della raccolta composta da 3500 canti divisi in 7 libri e 12 quaderni e costituiti da leggende sacre e profane, canti d’amore, religiosi, di emigrazione e canti rituali recitati ancora oggi durante rappresentazioni religiose come la Vara di Fiumedinisi. E ancora: canti politico patriottici, etno-storici (come quello dedicato alla Baronessa di Carini), canti magico-religiosi a fini apotropaici, scioglilingua, proverbi, ninna nanne. L’impressione di Falcone è che questi canti abbiano un segreto dialogo tra loro essendo eseguiti con il medesimo fine di lenire la sofferenza di chi viveva in estrema povertà nelle campagne in pessime condizioni di lavoro. I raccoglitori di questi canti, come precisato dall’Etno-antropologo Professore Sergio Todesco, svolgevano i loro studi nel contesto storico culturale del Romanticismo, durante il quale il popolo era considerato lo scrigno di un tesoro ancestrale oggetto di analoghe raccolte come quelle favolistiche dei fratelli Grimm. Anche il Fascismo utilizzerà la cultura popolare come emblema di una identità etnica. Lucio Falcone ha poi ricordato suo padre che ha riscattato questi canti dal silenzio cui la oralità li avrebbe condannati contribuendo a conservare una identità regionale siciliana, il cui dialetto non deve essere considerato una lingua morta, ma viva. Secondo Falcone infatti i miti che i canti tramandano in forma scritta grazie al lavoro di suo padre rinviano alla stessa materia che è l’anima siciliana, che con questo libro si vuole tramandare. Da qui, il suo forte ringraziamento non formale ma sostanziale alla amministrazione di Messina, rappresentata dalla figura istituzionale dell’Assessore Caruso, per essersi impegnata a conservare questo libro nella biblioteca comunale e regionale. La conclusione della presentazione ha visto coinvolti i presenti in un vivace dibattito sulla necessità, sottolineata dal Professore Todesco, di conservare il dialetto siciliano rendendolo una lingua complementare alla lingua italiana anche nella forma scritta come già avviene nel parlato per evitare che scompaia a causa della monocultura imperante imposta dalla attuale globalizzazione.

Prof.ssa Giuseppina Zingarelli